Antonio Cobino
Non abbiate paura della tenerezza…
La storia di Antonio Cobino, affetto dalla Sla, che ha messo insieme i suoi pensieri, diventati una pubblicazione “Non abbiate paura della tenerezza”: una straordinaria testimonianza della grandezza della fede e dello spirito.
La vita è preziosa anche per chi ha perduto la normalità e la quotidianità.
Cobino e la sua ispirazione a papa Francesco.
Antonio Cobino è nato a Grottaminarda Avellino il 6 giugno 1971 dove tuttora risiede in contrada Ruvitiello.
è sposato con Michela da 18 anni e dalla loro unione sono nati due figli Vincenzo 17 anni e Rosaria di 12.
Il suo straordinario percorso nella malattia, è iniziato il giorno del suo 39° compleanno, nel 2010, con un’evidente diminuzione di forza nell’indice sinistro.
La diagnosi precisa l’ha ricevuta a Napoli dopo sei mesi.
La prima cosa che ha fatto dopo l’angoscia iniziale, è stata quella di prendere per mano sua moglie e rivolgersi a Gesù, dicendo come lui disse al Padre: “Sia Fatta La Tua Volontà”.
Da quella volta non ha ceduto alla rassegnazione, ma si è donato con tutto se stesso a Lui e al Vangelo.
Ho incontrato Antonio e non mi è sembrato di avere a che fare con una persona malata e bisognosa di cure, piuttosto di una vera grande famiglia, molto allargata vista la presenza di parenti e tanti amici nonché operatori che prestano quotidianamente il proprio servizio ad Antonio.
è una delle rarissime volte, se non l’unica volta che ho percepito l’amore e il calore che solo una famiglia può dare, l’amore puro, quello a cui tutti noi, anche segretamente, aspiriamo.
Ho visto una donna, Michela che in ogni istante dona amore e dedizione verso l’uomo che 20 anni fa le ha rapito il cuore, ho visto la naturalezza delle sue carezze sfiorare le affusolate mani di Antonio che a sua volta l’ammira emozionato e innamorato come il primo giorno.
Cogliere l’attimo in cui i loro sguardi s’incrociano è per me una gran fortuna, è l’opportunità di ricordarmi che l’amore non ha fine, limiti o condizionamenti e soprattutto, esiste.
Ho visto poi la figura di un ragazzo giovane, Vincenzo, nel pieno della gioventù, delle prime esperienze e con gli occhi al futuro che, dietro un’evidente maturità ci rivela il suo sguardo di figlio attento a tutti i bisogni di un padre che fisicamente non ce la fa, ma con la felicità di offrirgliela anche quando non ce n’è bisogno, perché realizza in quegli istanti il suo essere uomo.
Definirla ultima non è appropriato, perché Rosaria più di tutti ha uno sguardo consapevole e sereno, forse sarà l’erede di Antonio in cucina per la dimestichezza con cui prepara, sotto ordini precisi di Antonio, l’occorrente per cucinare.
In questo spaccato quotidiano a cui ho assistito non c’è forzatura, tutto accade in modo scorrevole, normale, come in qualsiasi famiglia, anzi no come una straordinaria famiglia: moglie innamorata e dedita al proprio compagno, figlio uomo in erba ma con un bagaglio umano superiore alla media e figlia adolescente innamorata anche lei del proprio papà come tutte le femminucce, che lo compiace eseguendo in modo pedissequo tutto quello che Antonio comunica tramite il suo computer.
Sono affascinata da questa famiglia, da questo nuovo approccio a una malattia che non lascia scampo.
è un approccio divino certo, ma l’opera di Antonio è terrena, concreta, lui ama gli individui, tutti, li conforta apre le sue porte di casa e dà speranza.
Trasmette speranza e testimonia la fede tramite i suoi scritti, dona le sue amate ricette, accoglie quanti vogliano conoscerlo e non vuole nulla in cambio.
è meraviglioso poter sentire e fare quello che fa lui, non può parlare ma, oltre al computer, lui comunica con lo sguardo, uno sguardo luminoso e sorridente, in cerca di tutti quelli che sono lì.